Con la sentenza 39615/22, pubblicata il 20 ottobre dalla quarta sezione penale della Cassazione, emerge un aspetto molto importante del D.Lgs. 231/2001 (che ha introdotto la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche): un ente può essere condannato solo se viene dimostrato che il reato è stato commesso nel proprio interesse, di conseguenza la sanzione “231” non verrà applicata se il giudice di merito non dimostrerà l’effettivo nesso tra la violazione delle regole cautelari da parte del datore di lavoro ed il trarre un vantaggio economico per l’ente.
Sulla base di ciò, è stato accolto il ricorso proposto dalla società contro la condanna alla sanzione amministrativa di 100 mila euro, a seguito di un infortunio gravissimo, costato al lavoratore l’invalidità permanente del 75%.
L’evento è avvenuto durante un turno di notte, ed è proprio su questo che la Corte d’Appello ha fatto leva, ritenendo che la scelta d’intervenire in quella determinata fascia oraria sia stata dettata esclusivamente dalla necessità di non rallentare la produzione, a discapito però della sicurezza. Tuttavia questa motivazione non è stata ritenuta tale da condannare la società, datosi che non si confronta con i criteri d’imputazione oggettiva della responsabilità al datore di lavoro.
La colpa dell’azienda, infatti, sussiste nel momento in cui viene dimostrata effettivamente la sistematica violazione di norme cautelari con lo scopo di ottenere un vantaggio per l’ente, vantaggio che coincide con il risparmio di spesa sui costi della sicurezza.
Lo strumento attraverso cui un’azienda può difendersi da eventuali accuse è rappresentato dai cosiddetti “modelli organizzativi”, sulla cui adozione ed attuazione dovrà indagare il Pubblico Ministero.